Il Manager come l’allenatore di una squadra?
“La leadership riguarda le comunicazioni magnetiche. I leader hanno un modo di comunicare che attrae le persone verso la visione e l’orizzonte” (D. Firebaug, …-…)
Dopo aver parlato del team working non possiamo trascurare chi, nella squadra, indica la strada e la strategia per tentare di raggiungere il successo.
Se nel mondo sportivo la figura di riferimento è l’allenatarore per il mondo lavorativo è il manager.
Prima di addentrarmi nel ragionamento che voglio condividere, mi preme di fare questa osservazione, che riguarda la soggettività di questo giudizio, legato alla mia esperienza personale e a quelle intercettate nella rete delle mie conoscenze. Sono consapevole che molti altri possono aver avuto percorsi diversi alla luce delle figure e delle organizzazioni incontrate nel proprio percorso professionale, che possono far tendere l’ago della bilancia verso altri tipi di giudizi. Il mio qui è uno dei tanti.
Recentemente ho visto un film in TV che ripercorre gli eventi che hanno portato alla prima vittoria della FORD, la storica casa automobilistica americana nella competizione francese della 24 ore di Le Mans.
L’attore che interpreta il ruolo del proprietario del celebre marchio americano afferma in un passaggio del film che dava fiducia al responsabile della gestione dello sviluppo dell’auto da corsa, ma essendo lui il capo avrebbe voluto essere aggiornato a ogni singola e anche minima evoluzione del progetto. Aveva riposto la fiducia nella persona giusta visto che nel 1966 la FORD vinse la storica competizione.
Questo breve aneddoto per rendere al meglio quelli che ritengo debbano essere le caratteristiche fondamentali in un manager per guidare il proprio team: delega e fiducia in primis, guida nelle scelte, supervisione, esempio, sporcarsi le mani, feedback costanti e ancora riconoscimento dei risultati e soprattutto battersi nelle sedi opportune per i propri collaboratori per permettere loro di poter raggiungere gli step di carriera stabiliti.
A me sembra che questa visione un pò eroica del manager si sia persa, almeno in parte e quella egocentrico/egoistica, dell’uomo solo al comando che non ha bisogno di nessuno, abbia preso il sopravvento.
In un’epoca di spending review e di taglio delle deleghe, sembra che il manager abbia stretto un patto con il diavolo (alias il top management) per le proprie finalità di carriera, l’arricchimento personale e per mantenere i propri privilegi intatti. In conseguenza di cio’ ha abbandonato i propri uomini, divenendo più un capo vecchio stampo, che impone la linea, prometta, conscio di non mantenere, premi e livelli al raggiungimento dei risultati aspettati, osservi soddisfatto il team performare al massimo delle sue potenzialità per le finalità aziendali (e personali), salvo poi al momento di ripartire in maniera equa i riconoscimenti, farsi da parte, nascondersi, eclissarsi, trincerarsi dietro un laconico e falso “Per quest’anno non c’è budget ma impegnati anche il prossimo anno e stai pur certo che allocheremo risorse per il tuo riconoscimento”. Non si lascia niente o forse qualche briciola al team.
Al contrario se c’è da assumersi la responsabilittà davanti ai fallimenti, mettendo la faccia davanti al top management o all’opinione pubblica, state pur certi che il manager farà di tutto per scrollarsi di dosso qualsiasi macchia e gettarla senza scrupoli sui suoi collaboratori.
Questo tipo di comportamento non rende chi lo pratica certamente un manager ma neanche propriamente un Uomo.
E allora ancora una volta facciamo cadere questo falso stereotipo del parallelismo tra la figura del manager del mondo del lavoro e l’allenatore della sfera sportiva.
L’allenatore in una squadra è il primo a pagare quando i risultati non arrivano.
Nel caso di gravi incidenti o tracolli finanziari che hanno colpito grandi aziende avete mai visto fare un giorno di galera al direttore generale e/o all’amministratore delegato di queste?
Quindi non illudiamoci quando vedete quelle belle immagini di manager di azienda su social network professionali che tendono la mano sorridenti ai loro collaboratori per promuovere la figura del leader illuminato che aiuta e sostiene il team: è tutto falso.
Quella mano al primo scricchiolio, alla prima incertezza verrtà a mancare e con questa il castello di sabbia fatto di quegli slogan del leader empatico, al fianco dei collaboratori, che promuove la crescita, che sostiene, che ispira il cambiamento verso il successo.
Soluzione a tutto questo è dunque una forte autostima, non aspettarsi nulla da nessuno, trovare le motivazioni dentro di sè, crescere e trovare le opportunittà, le strade che il mercato offre senza la speranza che qualcuno prima o poi ci noti. Il giudizio negativo di 1 (UNA) manager è il giudizio di 1 (UNO) manager e basta. Al di fuori del proprio contesto ci sono altri milioni di giudizi che ci attendono e possono essere improntati al rispetto del lavoro svolto, allo sviluppo delle potenzialittà e dei talenti e al riconoscimentodei risultati ottenuti. Andiamo a cercare il nostro percorso e la nostra realizzazione laddove ci vengono fornite le opportunittà di metterci in luce e far brillare i nostri infiniti talenti.
Buona lettura,
Nota a margine del testo:
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Daniele Rosselli, ingegnere, romano di origine, risiede in Veneto con la sua famiglia da diversi anni. Dipendente di aziende private operanti in diversi settori industriali, opera in ambito tecnico commerciale in contesti internazionali. Come scrittore, nel tempo libero, si occupa di narrativa ma anche di sociale, di economia, di innovazione tecnologica e di politica.