Psicologo aziendale e non solo
“Un terapista non può sorprendersi, deve essere preparato ad ascoltare tutto, niente lo sorprenderà mai, perché ha immaginato tutto” (A. Jodorowsky, 1929 – …)
Passata l’emergenza pandemica molte aziende hanno iniziato a fornire un servizio di assistenza psicologica ai propri dipendenti per garantire un supporto nei momenti di difficoltà sul lavoro, legati a disagio e conflittualità nati all’interno del perimetro lavorativo ma derivati anche da problematiche scatenate all’esterno di questo, nella vita privata, domestica, famigliare e che in entrambi i casi provoca problemi per il normale svolgimento dell’attività lavorativa e il raggiungimento degli obiettivi attesi. Disagio che si manifesta esplicitamente in un modo distorto di interfacciarsi con i propri colleghi, responsabili, collaboratori, nel vivere quindi una normale vita di comunità in ufficio, facendo fatica ad accettare le normali dinamiche innescate da scelte, carattere, forma mentis e approcco al lavoro diversi.
Sappiamo quanto il corona virus abbia influito negativamente sulla psiche di tutti i cittadini costretti per mesi a una reclusione forzata dentro i propri alloggi, senza la possibilità di vivere la socialità delle comunità qualunque esse siano, dalla città, ai paesi, alle scuole, agli uffici, alle palestre e tanto altro.
Questo ha sviluppato o meglio rafforzato o fatto emergere, ansie, paure, insicurezze, tensioni e disagio sopiti che si sono poi riverberati nel relazionamento con l’altro, in atteggiamenti di totale chiusura anche dopo la fine del periodo emergenziale; nel peggiore dei casi in comportamenti aggressivi se non addirittura violenti.
Queste situazioni di conflittualità tra persone e gruppi si sono verificate e accadono ancora oggi nella vita di tutti i giorni e non solo in azienda.
A farne le spese come al solito i più deboli, incapaci di contrastare gli atti di prepotenza e prevaricazione psicologica e a volte fisica, e quindi costretti a un supplemento semi permanente di chiusura per non incorrere in eventi ed episodi più che sporadici di abuso.
Sottolineiamo che tuto questo non è nato improvvisamente in corrispondenza del lockdown da corona virus nel 2020, già esisteva in passato e le cronache erano già piene di episodi di violenza incontrollata di natura domestica, scolastica, per le strade, negli stadi; dopo questa data, le cose sono forse peggiorate.
Uomini e molto più raramente donne non ben supportati a comprendere il cambiamento epocale nelle relazioni interpersonali, che vivono già in situazioni di disagio sociale, chiusi in vite senza relazioni o tutt’al più in mondi isolati o calati in contesti precari, abbandonati dalle istituzioni incapaci di vigilare capillarmente su tutta la popolazione, stanno facendo fatica a evolvere il loro modo di pensare e agire. Chi sembra il più forte in realtà è il più fragile psicologicamente e tenta di resistere al cambiamento con l’unica arma ancestrale che è la violenza.
Ad aggravare ancora di più questo fenomeno il fatto che aumentano sempre di più i casi di violenza ad opera di insospettabili, provenienti da buone famiglie, che hanno ricevuto una buona istruzione, con buone posizioni sociali, ma che al disagio psicologico del cambiamento e del rifiuto reagiscono in maniera ugualmente sproporzionata.
Sembra un pò essere tornati alla vita dei nostri antenati, gli uomini primitivi in cui la violenza era l’unico linguaggio conosciuto e quando si usciva dalla propria tana, per tentare di trovare il nutrimento per sè e la propria famiglia, provando a sopravvivere alle altre fiere, l’unica arma era scatenarsi in una aggressività cieca e inaudita per non soccombere.
Il celebre homo homini lupus di Hobbes-siana memoria.
Il problema di oggi è che queste persone che manifestano questo disagio cieco e improvviso, più simili alle bestie nell’indole, scaricano la loro frustrazione contro i più deboli e non si confrontano con esseri di pari forza e brutalità. Il risultato è tristemente scontato, ma non risolutivo per il violento che non pago della rabbia espressa, andrà a cercare altri agnelli sacrificali, iterando gli episodi di violenza, se non viene fermato dagli organi preposti.
L’essere umano sembra non riuscire più ad accettare il “no”, il rifiuto dell’altro. Al reiterarsi del diniego, la risposta non è l’accettazione della volontà dell’altro ma l’escalation con mezzi violenti come se la coercizione fosse diventata la chiave per far cambiare idea all’altro.
Vediamo le situazioni di conflitto internazionale che sono scoppiate negli ultimi due anni: la guerra, atto di violenza estrema, come soluzione ultima al desiderio di prevaricare l’altro, per imporre la propria volontà di dominio.
Non esiste più il dialogo, la diplomazia, la dialettica, le barriere del rispetto sono cadute e l’atto violento costringe l’opponente ad accettare suo malgrado una richiesta che altrimenti non sarebbe mai condivisa pacificamente.
O si accetta o si muore.
La situazione ha delle basi storico/sociali che affondano le radici in alcuni cambiamenti epocali che si esplicitano in un mutato modo di vivere la collettività e la socialità, a causa delle disuguaglianze sempre crescenti e impossibili da nascondere ormai grazie alle possibilità di conoscenza e analisi con le tecnologie esistenti, al mutato approccio nel rapporto tra uomo e donna, alla diversa posizione che la donna sta tentando di ritagliarsi nella società, ai mutati rapporti tra giovani e istituzioni scolastiche, ma in primis ai mutati sistemi educativi in famiglia.
I ricchi e potenti sempre più influenti e protesi ad accumulare senza limiti ricchezze e privilegi alle spalle del lavoro degli altri non si rendono conto che non possono più trascurare il grido di insofferenza e rabbia che proviene dalla società. Le tensioni sociali sono palbabili. La crisi economica, i tagli e i sacrifici continui colpiscono solo una parte della società mentre quella piccola fetta di privilegiati continua ad accumulare denari proprio grazie alla situazione di stagnazione dell’economia, in quanto chi entra in crisi deve dismettere i suoi beni a prezzi più bassi e gli affari diventano molto proficui per chi ha di contro disponibilità crecenti.
Tutto questo genera rabbia, frustrazione, disagio, spirito di rivalsa se non vendetta che rimane sopito, taciuto, ma che come un vulcano dormiente è pronto a esplodere in una rabbia cieca e insensata al primo accenno.
Il risentimento si scarica naturalmente sui più deboli.
I casi peggiori di violenza che stiamo vivendo, sono quelli contro i bambini, i più effferati per la sproporzione di forza messa in campo che fa soccombere davanti all’aggressore la vittima sacrificale inerme. Vedi la guerra nella striscia di Gaza con il sacrificio di tante migliaia di innocenti. Uno stato che deve cancellare un popolo e prende le mosse da un atto terroristico per sterminare la popolazione civile, rea di vivere la sua esistenza in un territorio dilaniato dalla contesa e diventata scudo umano, contrapposizione tra contendenti, senza che il rischio del sacrificio di tante vite umane faccia insorgere il ben che minimo scrupolo di coscienza se premere il grilletto e falciare poveri civili o arrestare la carneficina.
Passando ad altri fatti di cronaca differenti da quello ora citato ma non per questo meno violenti e raccapriccianti, come tacere le molte vittime dell’amore malato in quel rapporto tra sessi che vede un escalation inaccettabile di violenza fisica da parte dell’uomo sulla donna: il più delle volte il maschio non accettando la fine del rapporto di coppia e non volendo comprendere i motivi della fine di una relazione, si accanisce contro colei che è considerata la responsabile di questa troncatura. L’uomo non accetta che una donna non sia più sottomessa al proprio volere come in passato e possa prendere un’altra strada e cambiare vita, altre persone da avere al suo fianco, altre esperienze da vivere.
Il comune denominatore tra questi fattori è la rabbia e la frustrazione cieche che generano in entrambi i casi la violenza contro i più deboli incapaci di opporre una resistenza fisica alla follia selvaggia e disumana dei carnefici.
Fermarsi e riflettere se proseguire in questa spirale di odio cieco, sedersi al tavolo negoziale e discutere, ma soprattutto capire che l’odio genera altro odio senza arrivare mai a una conclusione ma solo alla distruzione, all’annientamentro del contendente.
Siamo partiti dalla considerazione dell’introduzione in alcune aziende della figura professionale dello psicologo, ma aggiungiamo anche la proposta di inserire uno psicologo di famiglia: sarebbe necessario per gestire il disagio nascente che affianchi il classico medico di famiglia, nell’ascolto e la cura di problematiche di natura psicologica, con un obbligo di visita almeno una volta l’anno per tutti i componenti un nucleo famigliare per capire se lo sviluppo psichico di giovani e meno giovani sia in linea con una condotta comportamentale regolare o se viri verso atteggiamenti potenzialmente pericolosi.
Buona lettura
Nota a margine del testo:
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Daniele Rosselli, ingegnere, romano di origine, risiede in Veneto con la sua famiglia da diversi anni. Dipendente di aziende private operanti in diversi settori industriali, opera in ambito tecnico commerciale in contesti internazionali. Come scrittore, nel tempo libero, si occupa di narrativa ma anche di sociale, di economia, di innovazione tecnologica e di politica.